Situazione startup in Italia: l’impatto della pandemia sulle neo-imprese nostrane
Con un mercato del lavoro in profonda trasformazione per effetto ad ampio raggio dell’emergenza sanitaria, l’attenzione di molti si è rivolta in questi mesi alla situazione startup in Italia. Studi e ricerche hanno provato, cioè, a misurare lo stato di salute delle neo-imprese italiane e, per dirla con un’espressione molto in voga al momento, la loro resilienza alla crisi. I risultati possono sembrare per certi versi contraddittori e rimangono segno di come, come la maggior parte delle altre imprese italiane, l’ecosistema delle startup nostrane si trova ad affrontare un momento di profonda incertezza.
Diminuiscono in numero, ma attraggono nuovi (ed innovativi) capitali e più soci: segni incoraggianti per la situazione startup in Italia
Nell’ultimo trimestre del 2020, più nel dettaglio, le startup innovative italiane sarebbero diminuite in numero, ma di soli pochi punti percentuali: per capire meglio di cosa si parla quando si parla di “startup innovativa” e scoprire come eventualmente registrarne una, utili possono essere risorse come quelle di questo sito dedicato a impresa e business. Notizia ancora più incoraggiante è che anche il capitale sociale delle startup nostrane è aumentato nello stesso periodo di riferimento di oltre il 3.4%, così come lo sarebbe il numero di soci di capitale per singola startup (in questo caso, però, l’incremento è di appena lo 0.5%). Le neo-imprese italiane, insomma, non sembrano avere grosse difficoltà – o, almeno, non più di quante ne avessero già prima della crisi – ad attrarre capitali e investimenti e, anzi, misure come quelle del Fondo Rilancio dovrebbero aiutare startupper e piccoli e medi imprenditori italiani con finanziamenti ad hoc. Un dato positivo, e che potrebbe rendere proprio le startup protagoniste della ripresa economica italiana, ha a che vedere con la loro naturale propensione ad attrarre forme di investimento nuove, come quelle dei venture capital per esempio.
La situazione startup in Italia appare meno rosea, invece, quando si guarda alla redditività delle stesse in questo anno di pandemia. Le imprese di recente formazione sembrerebbero, infatti, quelle tra cui l’incidenza di società in perdita è più alta della media (con percentuali di oltre il 52%, contro una media di poco più del 30%). Colpa sembrerebbe, almeno a sentire gli startupper, di un calo vertiginoso della domanda (calo che per una startup italiana su quattro sarebbe stato superiore al 50%). In altre parole? Con i consumi degli italiani in contrazione a causa della pandemia e dei suoi effetti collaterali sul potere di spesa delle famiglie, e per effetto combinato delle chiusure imposte dalla misure di contenimento del contagio da coronavirus, tra le prime a risentirne sono state le startup italiane che, vale la pena ricordare, sono per lo più attive nel campo dei servizi alle imprese (categoria di cui fanno parte oltre il 74% delle imprese innovative registrate), del manifatturiero (17%) e del commercio (poco più del 3%).
Il diretto corollario è che oltre la metà (il 55%) delle startup italiane è dovuta ricorrere alla cassa integrazione durante il primo lockdown. Solo il 5% ha chiuso già nei primi mesi di pandemia, ma la situazione startup in Italia alla prima riapertura nei mesi estivi del 2020 era tale per cui almeno il 40% delle neo-imprese si trovava in quella “zona rossa” di soli tre mesi di liquidità a disposizione.